L’artrite reumatoide (AR) è una malattia autoimmune che colpisce le articolazioni (circa l’1% della popolazione). Può diventare una condizione molto grave se non trattata adeguatamente o trascurata con danno al tessuto osseo e grave deformazione delle articolazioni. Inoltre è anche associata ad una serie di complicazioni sistemiche. Ad esempio questi pazienti hanno un tasso di malattie cardiache pari a quello di pazienti diabetici.
Le linee guida esistenti per il trattamento dell’AR raccomandano il ricorso ad un trattamento precoce della malattia per raggiungere l’obiettivo della remissione clinica oppure, nel caso di patologia di vecchia data associata a comorbilità, almeno l’obiettivo della minima attività di malattia (LDA).
Per raggiungere ciascuno dei due obiettivi sopra enunciati, gli estensori delle LG raccomandano l’adozione di strategie di trattamento basate sul frequente monitoraggio e l’aggiustamento del trattamento farmacologico su base individuale (approccio meglio noto come T2T – treat-to-target) (1).
I corticosteroidi (CS) – in formulazione orale, parenterale o intra-articolare – sono parte integrante della strategia di trattamento T2T nell’AR e possono essere utilizzati per trattare le riacutizzazioni nelle fasi precoci della malattia (2).
La loro efficacia nell’AR, in formulazione intra-articolare, era già stata documentata molto prima dell’adozione dell’approccio T2T nel trattamento della malattia (sia da solo che in associazione a DMARDs) (3,4). Inoltre, uno studio pubblicato più di 10 anni orsono, ha documentato la superiore efficacia delle iniezioni intra-articolari di steroidi rispetto a quelle intra-muscolari (5).
E’ recente invece, la dimostrazione di superiore efficacia sull’outcome “remissione” di una terapia di combinazione che prevede l’aggiunta di un farmaco biologico (adalimumab) ad una combinazione farmacologica iniziale costituita da MTX e triamcinolone intra-articolare. L’aggiunta o meno di farmaco biologico, invece, non influisce sull’outcome della minima attività di malattia (con risultati sovrapponibili nei due gruppi in studio)(6).
Dai dati attualmente disponibili, si ritiene che l’efficacia dei CS nell’AR sia da ascrivere alla loro potente azione anti-infiammatoria, unitamente alla riduzione del numero di cellule T e all’espressione di RANKL già a 2 settimane dall’infiltrazione. Il loro impiego, inoltre, è stato associate a ridotta espressione di citochine pro-infiammatorie (IL-1beta e TNF-alfa) (7,8)
Riassumendo
Le iniezioni intra-articolari di CS rappresentano una parte importante delle strategie T2T di trattamento dell’AR, in quanto riducono in modo significato l’infiammazione sinoviale e il danno articolare. Hanno un effetto superiore rispetto alle formulazioni per via sistemica e contribuiscono al raggiungimento del target terapeutico.
Fonte:
Highlights tratti dalla relazione del prof. L. Senolt (Praga, CZE). Congresso ISIAT, Praga, 2017
Bibliografia
1. Smolen JS et al. Ann Rheum Dis 2016;75:3–15. doi:10.1136/annrheumdis-2015-207524
2. Burmester GR et al. Lancet 2017; 389: 2338–48
3. McCarty DJ et al. J Rheumatol. 1995 Sep;22(9):1631-5.
4. Hetland ML et al. Clin Exp Rheumatol 2012; 30 (Suppl. 72): S44-S49
5. Furtado RNV et al. J Rheumatol 2005;32;1691-1698
6. Hørslev-Petersen K et al. Ann Rheum Dis 2016;75:1645–1653.
7. Makryjannakis D et al. ARTHRITIS & RHEUMATISM 2006; 54(5):1463–1472
8. Af Klint E et al. ARTHRITIS & RHEUMATISM 2005; 52(12):3880–3889